Quando l’artista senigalliese Lorenzo Marconi  mi ha svelato in anteprima che il suo abito per il Carnevale di Venezia era ispirato al biroccio, sono rimasta piacevolmente sorpresa e ho subito ripensato al libro “Il biroccio marchigiano”  che anni fa mi è stato donato dalla mia collega Linda Luchetti.

Edito nel 1967, il libro  è stato curato dall’ing. Glauco Luchetti, padre di Linda, a cui dobbiamo la realizzazione del Museo del Biroccio a Filottrano dove si può ammirare una preziosa collezione di birocci marchigiani.

Ecco, forse non tutti sanno cosa sia il biroccio… Dunque, il biroccio è un carro agricolo a due ruote utilizzato per trasportare merci, ma anche persone e animali (la denominazione biroccio viene dal latino birotiium– due ruote). Uno strumento di lavoro fondamentale per ogni famiglia contadina e, nello stesso tempo,  il biroccio ha rappresentato nei secoli una forma d’arte espressiva unica nel suo genere perché veniva arricchito da fantasiose decorazioni del tutto originali!

Il biroccio ci parla delle radici della nostra regione. Una regione fortemente legata alla coltivazione della terra e alle sue tradizioni. Ancora oggi il quadro delle Marche rurali è un quadro stupendo: dipinto con amorosa intelligenza e mano paziente dai marchigiani. Ma come è nell’indole dei marchigiani, poco portati all’ostentazione, è un quadro conservato soprattutto in famiglia. Anche i suoi dettagli sono passati quasi inosservati attraverso i secoli e questo è accaduto anche al biroccio, considerato da sempre come un patrimonio strettamente domestico.

In Italia, come sappiamo, il carro agricolo più famoso a cui sono stati dedicati studi e monografie riccamente illustrate, è il carretto siciliano, che gode ancora di grande popolarità. In realtà, il carretto siciliano non è apparso in Sicilia prima dell’ultimo decennio del ‘700 perché prima di allora non vi erano strade adatte e si usavano soprattutto il cavallo e l’asino per trasportare merci.

Dunque il  biroccio marchigiano, sebbene sia meno famoso, vanta un’origine più antica! La sua origine  nell’Italia Centrale si fa risalire all’epoca etrusca, attorno al III sec. A. C.. Da allora, il biroccio ha accompagnato feste religiose, processioni, feste contadine, come la vendemmia e la raccolta del grano.

Trasportava anche il corredo della sposa nel giorno delle nozze. Era l’orgoglio della casa perché decorato con precise indicazioni del committente e secondo canoni tradizionali. Al contrario della costruzione che aveva uno schema unico (il biroccio era fabbricato con legno di noce o di olmo), la decorazione era più libera e fantasiosa, anche se i colori fondamentali – il bianco – il rosso – il giallo – il verde – il blu erano sempre gli stessi.

Le decorazioni poi variavano di provincia in provincia, anzi da zona a zona, a seconda della conformazione geografica. Infatti la decorazione risultava più semplice, al massimo con due colori, in pianura; fastosa ed elaborata nelle zone collinari; monocolore e senza alcuna pretesa ornamentale in montagna. Il 73% per cento delle Marche è collinare, quindi sono numerosi i birocci riccamente decorati!

Ma cosa raffiguravano  i disegni con cui venivano dipinti i birocci? Ad essere rappresentato, sulla parte anteriore, era soprattutto Sant’Antonio Abate, il santo protettore degli animali, molto caro al popolo contadino. Spesso dipinto con la campanella o il libro in mano, in atteggiamento benedicente, a mezzo busto oppure intero, con gli animali e su sfondo di paesaggi agresti.

Anche la Madonna e qualche Patrono venivano raffigurati, ma più raramente. Inoltre ci sono stati particolari momenti storici in cui l’immagine sacra venne  sostituita da quelle di Garibaldi, Vittorio Emanuele, Guglielmo II, e pure Lenin!

Soprattutto nelle Marche centrali trionfavano le cosiddette “pupe da biroccio” (alle quali è ispirato l’abito di Lorenzo). Fanciulle dalle forme procaci e le rosse gote, ritratte ai lati del biroccio con colombe, vasi di fiori e frutta. (Ricordiamo il popolare detto marchigiano: “me pari a pupa du viroccio!  riferito ad una donna truccata in modo fin troppo vistoso…).

Gli animali e i fiori non erano scelti a caso: ognuno di essi aveva un significato preciso. Il pavone era simbolo di ricchezza, il cane di fedeltà e vigilanza, le due rondini, come la colomba, simboleggiavano l’amore.

Tra i fiori primeggiava la rosa con il suo significato di grazia e bellezza; la margherita denotava innocenza e bontà; il garofano testimoniava virtù e la viola umiltà. Le spighe di grano e le olive evocavano abbondanza.  Le figure potevano essere schematiche, angolose, i colori netti, privi di chiaroscuri…ma l’insieme aveva che di incantato e fiabesco!

Nel senigalliese vennero anche realizzate decorazioni a carattere documentaristico! Si sono infatti succedute in vari birocci scene di avvenimenti di interesse nazionale ed internazionali. Tra questi ricordiamo: il Norge al Polo (ovvero il dirigibile italiano che nel 1926 sorvolò per primo Polo Nord), le crociere dell’Aviazione Italiana, episodi della guerra in Etiopia, la battitura del grano in presenza del capo del governo, scene dalla seconda guerra mondiale spesso ispirate alle tavole della “Domenica del Corriere”.  

Con l’avvento del cinema ci furono anche birocci con raffigurate le effigi di Silvana Mangano e Sophia Loren …e  persino immagini tratte dal popolare periodico“Grand Hotel”! Tutte queste immagini – sospese fra sacro e profano e trasferite sul quotidiano mezzo di lavoro -portavano sui campi un tono festoso e suggestivo.

E l’immagine pittoresca del biroccio, con la sua lenta andatura, ha anche ispirato nel tempo artisti e poeti. Adolfo De Carolis, Anselmo Bucci, Pio Pullini, Cesare Petruzzi e altri pittori lo hanno inserito nei loro paesaggi agresti e un biroccio appare nell’affresco del pittore Pallavicini  risalente al 1790 e conservato nel Museo Benincasa di Ancona. Vari poeti hanno citato il biroccio nelle loro poesie: Pavese, Pasolini e soprattutto Pascoli...E con questi versi di Pascoli ho voluto concludere la mia presentazione:

Passa il biroccio tra le viti e li olmi,
con l’ampie brasche, pieno di covoni.
Sotto i covoni va nascoso il carro,
muovono i bovi all’ombra delle spighe.
La messe torna donde partì seme,
da sé ritorna all’aia ed alle cerchie.
I mietitori ai lati del biroccio
vanno accaldati, le falciole a cinta.
Sul mucchio, in cima, un bel fantino ignudo.
Tre vecchi gravi seguono il biroccio,
i tre fratelli, un bianco, un grigio, un bruno.
Ma di lontano, dalle gialle stoppie,
un canto viene di spigolatrici…

Nelle foto alcuni momenti della presentazione del Costume di Carnevale di Lorenzo Marconi ispirato alle Pupe da Biroccio. La presentazione, a cura di Anna Marconi, si è svolta sabato 23 febbraio presso il foyer del Teatro La Fenice di Senigallia e vi ha assistito anche il sindaco Maurizio Mangialardi. Il flautista Arsienti Del Re ha accompagnato con la musica l’evento.

Nel pubblico anche Giovanni e Antonella Pinzi de “L’Estetica dell’Effimero”, associazione culturale ideata dai fratelli Marconi, che ringrazio per avermi invitata a partecipare all’evento.

Un grazie particolare a mio fratello Daniele Ferretti per le foto (la foto 2 è di Stefano Grilli).

Da “Vivere Senigallia” dell’1 Marzo 2019: Lorenzo Marconi ancora protagonista a Venezia, l’abito dedicato alle Marche presentato in piazza San Marco

Il biroccio…dalle Marche al Carnevale di Venezia
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