Nel 1860  esplode il  furore poetico di Emily Dickinson: 400 poesie scritte durante un anno che la vede struggersi per un altro amore impossibile, quello per Samuel Bowles, direttore dello “Springfield Daily Republican”, con cui instaura un profondo legame epistolare.

Bowles però è sposato e quello di Emily rimane un sentimento inappagato.

In molti hanno imputato la sua definita scelta di autorecludersi nella casa paterna proprio a questa delusione sentimentale.

In realtà, il suo isolamento volontario rimane tuttoggi un mistero, che si accompagna al mistero della sua stessa poesia.E qui ritorniamo al grande interrogativo: chi era Emily Dickinson?

C’è chi vede in Emily una virginale e fragile fanciulla, che in seguito ad un amore tormentato ha scelto di chiudersi in casa e vivere di poesia; insomma, una sorta di eroina romantica di metà ottocento. C’è chi invece la considera una pioniera del movimento femminista, poiché si è sottratta ad un destino già scritto – un destino di moglie e madre – per perseguire un ideale di indipendenza e libertà creativa. C’ è addirittura chi la considera come una sorta di strega! (il poeta e critico Allen Tate disse che se Emily Dickinson fosse nata nel seicento sarebbe finita sul rogo!).

Strega e fata sapiente che conosce piante e fiori, si orienta con le stagioni, e sa riconoscere nella natura il sottile mutare delle cose e la fragilità dell’esistenza.…Alcune lettere ce la dipingono persino come una ragazzina civettuola e vanitosa che, mentre scrive di sè: “Sarò la “belle” di Amherst”, immagina di avere schiere di ammiratori…ammiratori che farà soffrire in attesa di un suo cenno!

Ma Emily è soprattutto quella tensione costante volta all’Assoluto – e prossima all’abisso – che pervade ogni sua lirica e in cui molti rintracciano l’origine delle sue nevrosi.  “Ho avuto un terrore lo scorso settembre…”, scrive in una lettera. Un disturbo nervoso, forse crisi di panico… alcuni ipotizzano addirittura epilessia.

Emily la malata mentale, dunque, che non riesce a sopportare il distacco dalla sua casa e dalla sua famiglia, tanto che il fratello e la cognata, una volta sposati, decideranno di vivere nella casa accanto per non procurarle un ulteriore trauma.

Emily è una, nessuna, centomila. E indossa perennemente una veste bianca…d’altronde, “Il rosso è la normale tinta del fuoco, ma chi osa guardare un’anima al calor bianco?” scrive la poetessa. Ricordiamo che il bianco è il colore che racchiude tutti i colori, proprio come il suo anonimato nasconde la vivacità di un’identità multiforme…una identità che trova l’espressione di libertà massima nella poesia.

Ecco, Emily è un fondamentalmente un poeta, ovvero: “Colui che distilla un senso stupefacente da significati ordinari”, una veggente, che vede oltre…come professavano anche Arthur Rimbaud e Charles Baudelaire.  E attraverso la poesia Emily affronta tematiche fondanti dell’esistenza umana: l’amore, che per lei è un sentimento totalizzante, quanto non vissuto; la morte, che è perdita incolmabile, ma anche volo verso l’Eternità; e Dio…Un Dio assente, immaginato come “un grande ladro”, che però Emily non smette mai di interrogare…

Tutto viene espresso in versi perlopiù brevi, brevissimi…Folgoranti. Senza un metro preciso. Senza punteggiatura. Con un uso enfatico delle Maiuscole. E le sue parole sono violente e aggraziate, blasfeme e colme di reverenza per il Divino; ed è in questa alternanza di sentimenti opposti che si basa la poetica Dickinsionana. Una poetica che ha come chiave d’accesso privilegiata il desiderio di FUGA.

“Quando sento la parola “fuga”
il mio sangue scorre più veloce,
sorge in me improvvisa la speranza
e son pronta a volare.”

Ricordiamo che in questo periodo, in America, lo scrittore Herman Melville decide di salpare da New Bedford alla ricerca di Moby Dick, la balena bianca, mentre a Walden, il poeta  Henry David Thoreau si ritira in una anarchica solitudine tra i boschi…Emily non parte per nessun luogo. Le basta la sua casa paterna per fuggire.

“L’infinito ha la latitudine di casa” scrive.

La fuga  rappresenta la poesia stessa, come tentativo di fermare il tempo, e infonde alle liriche di Emily  un ritmo accelerato. “Sfrenate e spasmodiche” le definì il critico Thomas Higginson, che ne rimase sconcertato e le giudicò non idonee alla pubblicazione.

Nelle foto, dall’alto: Samuel Bowles, la camera da letto di Emily con l’abito bianco da lei indossato, una sua poesia manoscritta e la veduta della sua casa ad Amherst.

(Fine terza parte)

Cercando Emily Dickinson (Part 3)….furore poetico e isolamento