Fin dalle prime luci dell’alba, una giovane donna camminava lungo la spiaggia deserta con indosso una coperta rossa. Da lontano, la sua sagoma risaltava sullo sfondo blu del cielo e del mare come quella di un fantasma sopravvissuto alla notte, le cui candide vesti avevano assorbito il rossore del primo sole. Un fantasma che vagava in riva al mare in silente attesa del risveglio degli uomini, insonnoliti dalla quotidianità delle proprie vite terrene. Troppo a lungo aveva dormito anche lei ed ora, avvolta da una coperta rossa che celava il mistero della sua esistenza, si guardava attorno con occhi smarriti.
I primi bagnanti, che quella mattina giunsero in spiaggia, la videro emergere dall’orizzonte nel giorno più caldo di tutta l’estate, quando neanche la frescura immediata dell’acqua del mare poteva fare miracoli. Lei non aveva più bisogno di miracoli né del mare. Ma solo di se stessa. E della sua coperta rossa. E rosse erano le sue labbra tremanti simili ad un taglio ancora vivo nella carne. Tremava. Come se nevicasse nel cuore di un inverno senza fine. Nel suo cuore. Negli occhi della gente. Continuò a camminare, finché un uomo si distaccò da quel gruppo di bagnanti increduli. E le andò incontro.
“Si sente bene?” le chiese timidamente. La donna non rispose né alzò lo sguardo. Le onde del mare andavano avanti ed indietro, trasmettendo al mondo un canto sofferto ed estraniante.
“Si è persa?” insisté l’uomo avvicinandosi ancor di più. La donna allora alzò lo sguardo. Ed ebbe come un fremito. Le sembrò di essere finita all’ombra di un albero secolare poiché, quando guardò l’uomo, le braccia di lui le apparvero come forti rami pronti a raccogliere il suo sonno eterno, e i capelli spettinati le ricordarono l’inquieto ondulare di un fogliame rugiadoso, sconvolto dal vento. La corteccia del suo corpo seminudo era abbrunita dal sole e segnata dalle rughe del tempo.
“Venga con me” le disse dolcemente, tendendole una mano. La donna sospirò. Come doveva essere farsi portare via da un albero? Dove l’avrebbe portata?. Stette per muoversi ma, quando si voltò verso la spiaggia, i bagnanti non erano più uomini, ma grossi insetti riversi sulla sabbia, con immobili tenaglie e lucide corazze esposte al sole. E i loro occhi infossati ruotavano all’impazzata dietro inviolabili occhiali neri. La donna si bloccò di nuovo, spaventata. Sguardi come pungiglioni famelici le punzecchiarono sulla pelle mentre parole confuse ronzavano dalle bocche dei bagnanti. “Ma chi sarà mai?” “Sarà una pazza”“Per me è un’esibizionista” “Forse è un angelo caduto dal cielo” “Forse è un demone riemerso dal mare”. “Secondo me non è nessuno”.
La donna si distaccò dall’uomo, irrigidendosi. Non sentiva più la risacca del mare, ma il ronzare di un vespaio impazzito. Rivoglio la risacca, pensò. Rivoglio la poesia. “Chiamate la polizia!” gridò uno dei bagnanti, guardando la donna avvicinarsi lentamente verso il mare e bloccarsi al primo contatto con l’acqua, quasi non fosse più in grado di fare un altro passo in avanti… Se avesse voluto, sarebbe potuta rimanere per sempre così: un fantasma rosso sangue all’ombra di un uomo che si finge albero.
Quanti di questi fantasmi ci camminano accanto e non ce ne accorgiamo? Quanti di noi sono già fantasmi e non se ne accorgono ancora? Ci fingiamo alberi secolari, ma non abbiamo radici abbastanza profonde per comprendere la terra né chiome di foglie allungate verso l’alto per violare i misteri del cielo. Siamo tronchi spezzati a metà. Non sappiamo da dove veniamo né dove andiamo. Non sappiamo chi siamo. Le nostre menti non ci appartengono. Sono rami troppo impervi per arrampicarvisi, e i pensieri divengono foglie destinate a perdersi nel vento e marcire in terra. Eppure, pensò la donna, sarebbe stato bello farsi portare via l’anima in un bosco sacro dove morire per diventare immortali….
Ma ora la risacca aveva ricominciato a suonare. E l’uomo si era un poco allontanato, temendo che quella donna fosse reale, e non un sogno, come si sforzava di credere per paura di svegliarsi. Lasciamola ai suoi pensieri, si disse. Lasciamola al mare. Quante persone lasciano i propri pensieri al mare?. L’acqua li laverà via o forse li renderà ancora più lucidi e veri. Se i miracoli esistono, dovrebbero esistere per tutti. Ma la donna non ne sentiva la necessità. E neanche le persone che la fissavano ronzando. In fondo, non è così difficile da comprendere. Una donna se ne va in giro con indosso una coperta rossa, in piena estate. Una donna diventa quella coperta rossa se sceglie infine di buttarsi in mare o di recidere le spine piantate ai polsi dall’ultimo inverno. Chi può evitarlo? Il vespaio ha altro da fare. Il bruco può diventare farfalla e colorirsi di nuovo, ma la tela mortale del ragno non risparmia nessuno. Il vespaio ha altro da fare. Non ama pensare.
Qualcuno, ad un certo punto, si convinse che quella scena fosse in realtà una Candid camera televisiva destinata ad un lieto fine. Tante telecamere puntate addosso, e allora sì che tutto avrebbe avuto senso. Le lacrime sarebbero state salate, come l’acqua miracolosa del mare, e la musica che la donna pareva udire nel silenzio sarebbe risuonata anche altrove. La farfalla sarebbe stata salvata o eliminata con un semplice televoto. In tivu la vera morte è bandita come è bandita la vera vita. Si può forse comprendere fino in fondo la realtà del dolore umano quando ogni lacrima è garanzia di ascolto? No, le tenebre di quella solitudine cosmica a cui ogni uomo è destinato non si lasciano dissipare facilmente, neanche dai riflettori di uno spettacolo in mondovisione, poiché il dolore è un morto che cammina nelle gabbie delle nostre anime. E i morti preferiscono non farsi vedere…
La donna, però, voleva poter condividere quel suo dolore con il mondo intero, ora che si sentiva morire. Morire dalla voglia di vivere. E, ad un tratto, si tolse la coperta di dosso, creando lo scompiglio generale. Le mamme, scandalizzate, coprirono gli occhi ai loro bambini, i ragazzini ridacchiarono divertiti, gli uomini la fissarono eccitati. Ma lei non se ne accorse, e rimase così, nuda, di fronte al mare, come una statua greca riemersa dalle acque, finché l’uomo albero, profondamente turbato, raccolse la coperta e gliela rimise. La donna, sentendosi coprire, comprese di essere nuda, per la prima volta. “Sì, sono nuda” pensò, mentre il vespaio, esasperato, si allontanava dalla spiaggia come se avesse assistito ad un incendio in mezzo al mare. “Ma perché scandalizzarsi tanto?” si disse la donna. Sembrava quasi che fossero riusciti a scorgere, attraverso la nudità del suo corpo, la nudità della sua anima. A questo pensiero la donna si strinse ancora di più nella sua coperta e sussurrò all’uomo albero: “Nascondiamoci nelle nostre coperte rosse per coprire la nudità delle nostre anime…. Teniamoci strette le nostre passioni, le nostre ossessioni, che ci costringono a vivere in bilico fra cielo e terra… finché la morte non ce le strapperà via di dosso… per sempre”
L’uomo albero, pur non comprendendo il significato di quelle parole, la prese con sé e la porto via da lì. Il canto del mare, in quel momento, sembrava il pianto di un bambino appena venuto alla luce, con il cordone ombelicale ancora raggomitolato al corpicino sanguinante. Presto avrebbero tagliato quel cordone sostituendolo con altri, per poi scaldare il bambino infreddolito sotto una nuova coperta rossa. Una coperta da vivere, amare e dimenticare. Una coperta infine da sotterrare. Come la storia di sangue che ogni uomo, dall’inizio dei tempi, porta impressa nella propria anima.
Racconto pubblicato nell’antologia “CORPO & Anima” di Arpanet