Luisa Ferretti scrive da quando era molto giovane. Oggi è nell’età in cui talento e variabile anagrafica si accostano molto liberamente sia verso la piena maturità, sia verso l’estrema giovinezza. Lo conferma quest’ultimo libro di poesie – il quarto, a distanza di alcuni anni da “Nostalgie funambole”– che raccoglie la sua attività dei recenti anni, già elaborata e matura. Probabilmente scrivere è stato per l’autrice un’esigenza, oltre che il risultato di un indubbio talento. Viene spontaneo il confronto con la precedente raccolta poetica.
Lì i temi fondamentali – dell’amore, della vita, dell’eternità dell’universo verso il quale tutto converge per un’immersione totale, – si abbinano ad altre tematiche: scorci sul nostro tempo da commemorare, sguardi a personaggi e storie del passato rivisitate con il sentimento dell’ammirazione o dell’affetto, reminiscenze letterarie a cui dedica affettuosi omaggi (Federico Garçia Lorca, Alda Merini, Pier Paolo Pasolini…).
Anche “Notte di Venere” conferma un mondo variegato attraversato in bilico, a dimostrare la notevole raggera d’interessi e di suggestioni letterarie ed artistiche dell’autrice, ma sempre senza che l’unità dell’opera sia sminuita. Anzi, i testi della raccolta denotano uno sguardo particolarmente attento all’esigenza di dare unità, dando vita a magiche poesie cariche di sentimento e atmosfera, che descrivono con lucide immagini paesaggi e personaggi di un mondo a tratti irreale.
I versi si muovono con naturalezza e con accurata ed elegante costruzione formale, intorno alle tematiche preferite da Luisa: il tema del tempo e dell’eterno che si affianca alla caducità della vita e al meccanismo tormentoso del destino (“non farebbe rumore il tremore del tempo / che passa consumando l’orlo della gonna / in una lenta attesa orfana di speranza /”); la nostalgia per un mondo incorrotto che rimanda all’alba del mito, (“sogni la natura incontaminata del mondo / come una vergine di fronte al sacro unicorno”); i percorsi amorosi che diventano tappe dell’approfondimento dei sentimenti, (senza mai cedere al sentimentale).
Sempre presente l’esigenza del fare poesia – (scrittura come salvezza, conoscenza, liberazione, ricerca di armonia.) perché le parole servono ad arginare molte cose e a sanare le “crepe di un’anima / senza più certezza”. Qua e là affiorano immagini grevi di solitudine, di tormento, pur espresse in sottili giochi di metafore: “si è seduta accanto a me / la solitudine…../.Ha il mio stesso profilo di pietra / nella notte che viene./”; presenza tuttavia che si tramuta in una compagnia accettata, come un’altra anima capace di ricreare le cose. Perché anche per Luisa, come per Emily Dickinson, “sola, non posso essere / perché schiere / mi visitano / compagnia senza traccia / che elude chiavi.” …
Luisa ama alzare spesso gli occhi al cielo, e il linguaggio di stelle, luna e costellazioni le è ben noto. Ed ecco che la Luna si veste di abiti ora semplici –“una parentesi rotonda è la luna stasera” – ora di sontuose immagini: “Del Paradiso, chiave smarrita”. E’ in questo sguardo rivolto all’infinito, – del cosmo, ma prima ancora di se stessa – e nella necessaria ricerca mai conclusa ad esso sottinteso che possiamo leggere la cifra poetica più vera e profonda della raccolta.
Recensione di Giovanna Rita Zampetti pubblicata su “Urlo”.