Quando vivevo nel mio bosco immaginario, tutto era riposto nei favori della terra che, come una mamma, partoriva dolcezze di fonte e frutti freschi. L’oro scaturiva dagli abbagli del sole e dal miele del suo calore. L’argento ricopriva come una armatura la statica ossatura della luna, e le stelle divenivano diamanti agli occhi di chi, vestito di niente, si sentiva ricco dentro.
Bastava così poco per sentirsi vivi! Avresti potuto pensare di vivere in una reggia racchiusa in un piccolo guscio di noce nascosto sotto tappeti di foglie. Avresti potuto vedere, sulle volte affrescate del cielo, le migrazioni degli angeli appesi a cuscini di nuvole, e scoprire il mistero del male nell’occhio sbarrato di un uccello notturno.
Il tempo? No, non c’era tempo da rincorrere e prendere a morsi.
Le foglie bambine si nutrivano di sole dondolando una ninna nanna continua e verdeggiante, mentre le più anziane si distaccavano dolcemente dai rami compiendo voli di luce della durata di una vita intera.
Fino a toccare il suolo.
Morte
verticale
di una vita
spaziata
nel vento.
So che tutto questo è frutto della mia immaginazione malata, ma al risveglio dei miei viaggi fantastici ricordo persino l’odore. Tanto mi è sembrato di viverli.
Ora però non posso più permettersi il lusso di smarrirmi di nuovo in quel bosco dove mi rifugiavo di notte per evocare gli spiriti buoni.
Sono sola al mondo. E da sola dovrò imparare a vivere con me stessa.